IL FESTIVAL DELLE MOSTRE
NEGLI STUDI DEGLI ARTISTI

14/18 Marzo 2017 - Milano

Fuoco: l’irreversibilità del cambiamento

Entrando nello studio di Vittorio Corsini veniamo accolti dalle note dell’Aida di Giuseppe Verdi. Da un’improvvisata camera oscura di cartoni fluiscono le note dell’aria “Ciel! Mio padre!”, poche note ripetute in loop che generano una tensione crescente accompagnando il pluripremiato video Nothing Escapes My Eyes di David Krippendorff. Il regista tedesco-statunitense cresciuto a Roma muove da un particolare evento urbanistico: la costruzione di un autosilo sulle ceneri del Teatro reale dell’Opera del Cairo. L’Aida di Verdi fu scritta appositamente per l’inaugurazione, benché la prima poté essere messa in scena soltanto due anni dopo, nel 1871. Destino ha voluto che a distanza di un secolo preciso, nel 1971, l’edificio venisse devastato da un incendio. Non fu il destino però, ma il cambiamento dei tempi a volere che nella stessa piazza (che surrealisticamente conserva il nome di “Meidan el Opera” – Piazza dell’Opera) venisse eretto un posteggio multipiano.

A partire da questo singolare avvenimento Krippendorff ha realizzato il suo video che “racconta una storia universale, che si svolge senza parole, semplice e chiara: è la trasformazione silenziosa di un luogo e di un essere umano, entrambi sottoposti alla malinconia della conformazione” (D.K.). Con trasporto assistiamo al gesto altamente simbolico della deposizione dei fastosi abiti di scena da parte della superba attrice Hiam Abbass. Seguiamo ogni singolo gesto, ogni piccolo dettaglio carico di pathos per poi essere colti di sorpresa dal lento ma inesorabile movimento di camera che retrocede mostrandoci che l’intero set è stato allestito in uno dei posti auto del parcheggio. L’inquadratura retrocede uscendo dalla finestra per mostrarci l’attuale piazza invasa dal traffico. La melodia sublime di Aida sfuma nel caotico rumore di clacson e motori.

In dialogo con la malinconica evocazione del video c’è un’installazione di Loredana Longo. Vulcanica come la sua terra di origine, Loredana mi mostra un drappo di velluto di cotone sul quale ha pirografato con segno deciso una rappresentazione della Porta di Brandeburgo ancora schermata dal muro di Berlino che proprio di lì passava, assegnandola all’area sovietica. L’immagine di un momento che precede un crollo quindi, ma a cui tendiamo ad attribuire un segno positivo. Quasi a mostrare l’altra faccia della medaglia però, il panno è circondato da due dei suoi séparé, da un lato borghesemente dorati con motivi sui quali ricorre ipocritamente la parola “sorry”; dall’altro in cemento grezzo: la cruda realtà, senza l’edulcorazione a cui sono sottoposte le immagini mediatiche. All’esterno dello studio, sotto una luce rossa, campeggia la scritta “victory” in marmo. I bordi smangiati, la ‘T’ staccata, crollata al suolo, a ricordare quanto effimera sia ogni vittoria e quale il prezzo per i vinti.

Il fuoco, quindi come tema conduttore. Come “elemento che, a differenza degli altri, modifica irreversibilmente ciò che avvolge” (L.L.). Fuoco che non lascia speranze ma che assegna all’artista il compito di denunciare e commemorare al contempo, secondo quella che Loredana ama chiamare estetica della distruzione. Il bisogno disperato di sperare ancora, di cercare il bello in un’epoca di profonde fratture troppo spesso avvertite come lontane e inconsistenti.

Daniele Pilla

 

Fuoco

Studio di Vittorio Corsini

David Krippendorff, Loredana Longo

Via Emilio de Marchi, 37

vittorio@vittoriocorsini.com

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